La Nostra Storia

Che cosa è la FACI ?

E’ una sigla e sta a significare:

Federazione tra le Associazioni del Clero in Italia.

Il termine esprime molto opportunamente lo spirito della FACI che, proponendosi di raccogliere ogni singola realtà, intende mettere in atto quell’obiettivo di fraterna comunione che costituisce la forza vitale della Chiesa.

Come si entra a far parte della FACI ?

L’iscrizione avviene per tesseramento, versando la quota annuale. Per avere maggiori informazioni si può consultare la sezione relativa alle iscrizioni.

Importante novità: fino a qualche tempo fa riservata al clero, la possibilità di iscriversi è stata estesa ai “Soci Accreditati’, cioè a tutti coloro – uomini, donne, religiosi e religiose – che a vario titolo e con varie responsabilità sono impegnati nelle comunità dei fedeli e affiancano i sacerdoti nel loro ministero.

FACI e Fides: statuti. (si trovano nel sito FACI)

Storia della FACI:il fondatore: Mons. Nazareno Orlandi.

Nazareno Orlandi – Siena 7 febbraio 1871-Siena 7 agosto 1945La vita di Mons. Orlandi può efficacemente riassumersi in un continuo slancio di amore. Amore verso la gioventù, amore verso i derelitti, gli oppressi, i miseri, i sofferenti, gli increduli, amore sublime anche verso gli avversari. Amore fraterno verso la cau sa della Chiesa e del Clero.
L’Uomo, il Sacerdote, l’Apologista, lo Scrittore, l’ Educatore rivive nelle sue opere.
Non si può disgiungere l’opera di Mons. Orlandi, oratore, da quella del giornalista e del pubblicista.
Scrisse volumi su S. Bernardino da Siena, elaborò, da conoscitore profondo della lingua inglese, una grammatica ad uso degli stranieri angloamericani, per l’apprendimento della lingua italiana, manuali di giuochi ginnastici e per i Boy-Scouts, ma soprattutto dette avvio alla pubblicazione dei due periodici “Il Popolo di Siena” “L’Amico del Clero”.
“L’amico del clero”, organo ufficiale della Faci, nasce nel 1919.

Le pagine del periodico, oggi comprendenti interi volumi, costituiscono un monumento perenne della multiforme attività pubblicistica di Mons. Orlandi. Rievocare gli articoli, il contenuto, la logica serrata del ragionamento, la dirittura e la linearità delle espressioni, la chiarezza esplicita e senza reticenze, in un’epoca nella quale pochi o punti avevano il coraggio di esprimere le proprie opinioni, è cosa ardua ed impossibile. Innumerevoli le campagne sostenute e di cui ci parlano le pagine del periodico.
Dalle lotte contro l’iniquo Decreto Sacchi, del 1919, poi abrogato, a quelle per la liberazione di Don Riva, a quelle per gli aumenti di congrua, per la riforma della legislazione ecclesiastica, contro l’occupazione dei terreni beneficiari, in difesa delle Opere Pie, per la revisione delle molteplici imposizioni tributarie sul Clero, in difesa dei benefici vacanti, è tutta una serie di lotte sostenute dalle pagine de «L’Amico del Clero» per XXVII anni, ininterrottamente e personalmente sino agli ultimi giorni della sua vita.
Don Orlandi, nel numero del decorso mese di Luglio, quasi presagio della fine imminente, scrisse l’articolo di ripresa, dopo la forzata sospensione di un anno e più, dovuta alle contingenze del periodo di guerra recente, articolo di magistrale sintesi della bufera passata, quasi testamento spirituale proprio, riepilogo di tante fatiche e di tante doloranti perdite, per il suo grande cuore.
Riprendiamo la parte finale:
«Avanti dunque e daccapo. Iddio ci benedirà, perché nulla facciamo nell’ interesse personale nostro, ma tutto nell’ interesse della Chiesa e del Clero. Se l’esercito del male si stringe per combat-terci, e noi stringiamoci per difenderci, per difendere con la Chiesa e con noi il patrimonio della Civiltà cristiana, il nostro popolo traviato oggi da false e illusorie dottrine, la nostra fede, le nostre idealità sacre. Nulla di più bello, nulla di più glorioso di una tale impresa, alla quale dobbiamo portare il contributo di tutte le nostre energie, con coraggio, con entusiasmo, con indomita fierezza».

Don Orlandi

Storia della FACI: dalla nascita ai nostri giorni.

Siamo agli inizi del Novecento.
Il clima di acceso anticlericalismo identifica nella Chiesa, dunque nel prete, la causa di ogni evento negativo, a cominciare dalla grande guerra: il clero, sottoposto alle accuse più contraddittorie – collaborazionismo, spionaggio, sabotaggio… – vive un periodo di estrema difficoltà, costretto a subire, per motivi diametralmente opposti, gli attacchi congiunti dell’anticlericalismo interventista

L’indegna campagna culmina, nell’ottobre del 1917, nel decreto 1561 del guardasigilli Sacchi, con cui è consentito alla magistratura di perseguire le manifestazioni ostili alla guerra, fino ad allora non perseguibili. Tale atto ha il risultato immediato di rilanciare un po’ dappertutto nella penisola le associazioni di difesa del clero, già sorte in alcune località (Torino, Vercelli, Milano, Lucca, Bologna, Firenze, Spoleto, Caltanissetta…) per far fronte allo scoppio anticlericale del 1907.
In realtà, lo scoppio anticlericale della prima guerra mondiale è solo il punto di emergenza di una congiuntura storica già in atto fin dall’inizio del secolo; tale congiuntura ha le sue radici all’interno del cattolicesimo nel quale, dopo la crisi del ’48, prevale una linea ispirata da una mentalità intransigente che si rifà ad una visione del mondo polarizzata da due caratteristiche estreme: la nostalgia per la cristianità medioevale e il rifiuto del mondo moderno, visto unicamente come una sequenza di rivolte, a cominciare dalla Riforma Protestante per finire alla rivoluzione francese.
In una situazione così complessa e difficile, si inserisce il ruolo del settimanale cattolico “Il popolo di Siena” diretto da Nazareno Orlandi, sacerdote di grande intraprendenza che, fin dall’inizio del secolo, si serve della pubblicazione per definire in Siena e provincia un tipo ben preciso di presenza della Chiesa nella società italiana del tempo.
Gli scoppi anticlericali non colgono tuttavia di sorpresa il sacerdote, che non esita a interpretarli come manifestazioni di una ben precisa volontà: giustificare un’estensione applicativa delle leggi emanate nel 1866-67 per porre fine al potere temporale della Chiesa.
E’ ovvio che la strategia migliore per affrontare i continui attacchi alla figura del prete non può che essere il ricorso ad una posizione unitaria: le difficoltà condivise fungono da catalizzatore e spingono le singole realtà, che già si sono organizzate, a far fonte comune.
Le numerose esperienze di aggregazione hanno, se pur tra mille difficoltà interne ed esterne, egregiamente preparato il terreno: grazie a questo, un gruppo di sacerdoti senesi, con a capo proprio Mons. Nazareno Orlandi, si avvia verso la costituzione di una Federazione Nazionale.
S.E. Mons. Prospero Scaccia, autorevole arcivescovo di Siena, non manca di incoraggiare l’intraprendente gruppo di avanguardia, a cui concedono il loro appoggio tutti i vescovi della Toscana raccolti attorno al prestigioso cardinal Maffi.

Ed è proprio il Cardinal Maffi a presiedere il Convegno organizzato a Pisa il 2-3-4 ottobre 1917: da ogni parte d’Italia giungono coloro che rappresentano le prime associazioni e ai quali è ormai chiaro un concetto: è meglio riunirsi in una federazione nazionale piuttosto che rimanere migliaia di individui sparsi in tutta la Nazione.
Il Convegno di Pisa, dunque, segna la data di nascita della FACI: una Federazione di associazioni diocesane, ciascuna riconosciuta e approvata dal suo vescovo. Lo scopo specifico, visti i tempi, non può che essere uno: la “difesa” del clero, difesa in senso lato e quindi sia per ciò che concerne le cose materiali e sia – e maggiormente – per ciò che si riferisce all’onore, alla dignità e alla libertà del ministero. Una cosa è chiara fin dall’inizio: la FACI non è un sindacato, non può correre il pericolo di essere declassata, ridotta alla stregua di un sindacalismo intemperante e unicamente interessato al benessere materiale: ben ribadisce il concetto il cardinal Maffi che, eletto trionfalmente alla Presidenza, chiama accanto a sé, in qualità di vicepresidente, Mons. Nazareno Orlandi.

L’entusiasmo è molto, le prospettive sono tante e così pure il rischio di perdere di vista l’obiettivo: occorre dunque tracciare la rotta e illustrare il percorso… Per quanto riguarda la rotta, è necessaria una riflessione approfondita: lo “Statuto” richiede dunque qualche mese di lavoro ma nel marzo del 1918, dopo un’accurata revisione da parte del cardinal Maffi, è finalmente pronto. I concetti fondamentali sono richiamati in modo talmente semplice, chiaro e lungimirante che per un buon trentennio resistono alla prova di fatto.

Nel 1919 viene stampato il “Bollettino Ufficiale” che presto diventerà “L’Amico del Clero” la cui pubblicazione pone immediatamente un grave problema economico; ed è proprio il Santo Padre a elargire un’offerta di £. 1.000 con cui è possibile provvedere alla stampa delle prime 100 copie. Il gesto del papa non solo risolve la situazione ma testimonia la caratteristica che, in tutti i suoi lunghi anni di vita, la FACI non perderà mai la capacità di far presenti i problemi agendo in pieno accordo con l’autorità ecclesiastica, in spirito di obbedienza e di carità. Il 16 settembre 1920 Benedetto XV ricevette in udienza i vertici della Faci che dovevano riferirgli sui molti progetti, tra i quali l’istituzione di una Cooperativa del Clero, proposta che sembrava assai utopica.

Il Santo Padre rassicurò i convenuti, aprì un cassetto e disse “Ecco, il Papa sarà il primo socio della Cooperativa del Clero”. In quell’istante consegnò 10.000 lire lasciando i presenti sbalorditi.

Passata indenne attraverso il tragico periodo del fascismo e del II conflitto, superate le difficoltà del dopoguerra e affrontati gli sconvolgimenti dell’era postindustriale, la nostra Federazione ha comunque vissuto il sacrificio – e talvolta l’olocausto – di coloro che l’hanno sostenuta, amata e protetta tanto da consentirle di arrivare al nuovo secolo senza snaturarsi, senza perdere di vista quell’obiettivo verso il quale il suo fondatore Mons. Nazareno Orlandi l’ha guidata nei suoi primi passi.

Nel 1936 si inaugura il Sanatorio di Arco di Trento, sorto dalla mente e dal cuore di Mons. Orlandi. Il luogo si trova a circa 100 metri sul livello del mare, in prossimità del Lago di Garda, in una conca aprica e soleggiata circondata per tre lati da montagne che raggiungono i 2000 metri. Mons. Orlandi é appoggiato dall’arcivescovo di Trento Mons. Endrici e dalla signorina Hilde Angerger, che mette a disposizione la propria grandiosa villa paterna e il magnifico parco che la circonda, per un’estensione di quasi tre ettari. Il Sanatorio, inaugurato il 23 settembre 1936, è dotato di una capacità di 80 posti letto, in 50 camere.lll

Il Sanatorio del Clero è diventa segno di provvidenza e speranza per i sacerdoti malati di tisi, ne accompagna il difficile cammino verso la ripresa e li restituisce al loro impegno pastorale.

Dal mese di febbraio 1958, attuando i voti unanimi espressi dai Delegati regionali della F.A.C.I, si apre una nuova sede della Federazione a Roma, in Via Cicerone N° 44. La Direzione, comunque, rimane nella sede di Siena. L’Ufficio di Roma cura il disbrigo delle pratiche amministrative presso i Ministeri, con particolare riguardo a quelle di competenza della Direzione Generale dei Culti e del Fondo per il Culto.

Nel gennaio 1960 l’Ufficio romano della F.A.C.I. si trasferisce nella sede della C.E.I. stessa, in Via della Conciliazione N°1, per volere del Presidente della C.E.I. card. Giuseppe Siri.

Nel settembre 1960 la Commissione Arcivescovile di vigilanza della F.A.C.I. elegge presidente della Federazione don Dino Conti di Pisa, in sostituzione di Mons. Bonardi.

A partire dai primi mesi del 1961 si comincia ad attrezzare una nuova sede in Roma, più ampia, accogliente, comoda e centrale, situata in Piazza S. Andrea della Valle N° 6. Viene inaugurata il 20 febbraio 1962 con una semplice cerimonia, durante la quale la benedizione è impartita dal Card. Siri. La novità consiste nel fatto che qui si trasferisce anche la Direzione, che lascia Siena, e “L’Amico del Clero”. Si inaugurano, infine, i locali della Cooperativa “Fraternitas”, che ha lo scopo di offrire ai sacerdoti quanto loro necessita, a condizioni più che vantaggiose.

Il 1° gennaio 1964 entra in vigore l’assistenza malattia per i pensionati del Fondo Clero, gestita dall’Istituto “Fides” che riconosce integralmente tutte le prestazioni sanitarie occorrenti in corso di malattia, al 100 % le spese per medicinali e, nei limiti delle tariffe regolamentari, le spese per analisi o altre prestazioni

Nel 1968 il Comitato Episcopale elegge presidente della F.A.C.I. Mons. Fortunato Marchi di Venezia, in sostituzione di Mons. Conti. Due grossi problemi insoluti lo attendono: la sistemazione e la riattivazione delle case della Federazione ( Montecatini e Marina di Massa ), bisognose di lavori urgenti e ingenti. Oltre a ciò restano aperte altre delicate questioni: l’aumento del supplemento di congrua, la diminuzione dell’età pensionabile, la pensione di invalidità e di vecchiaia per le sorelle dei sacerdoti, la perequazione, la redditività dei beni ecclesiastici specie nel campo dell’agricoltura, il contributo dei laici nell’amministrazione ecclesiastica.

Nel 1969 cominciano i lavori di restauro, ammodernamento ed abbellimento della casa di Marina di Massa e si progetta di ricostruire ex novo la casa di Montecatini.
Per far fronte alle ingenti spese preventivate, il presidente Mons. Marchi lancia un appello al Clero italiano:”un obolo di almeno mille lire per sacerdote “.
Il 24 settembre 1970 il Consiglio Permanente della C.E.I. conferma presidente della F.A.C.I. Mons. Marchi per il triennio 1970 – 1973. Nel 1974 nasce il Patronato Faci, legalmente riconosciuto dallo Stato italiano, allo scopo di salvaguardare i diritti previdenziali e assistenziali del Clero.

Il Patronato F.A.C.I., per statuto, è libero da ingerenze esterne, sia politiche che sindacali, perché dipende dal Consiglio Direttivo della F.A.C.I.. Si propone come un ottimo strumento per l’ampliamento del ministero pastorale, in quanto consente una maggiore penetrazione, organizzata capillarmente, della presenza del sacerdote, soprattutto là dove è più necessaria. L’assistenza sociale diventa un mezzo per avvicinare i lontani. Nel Patronato si uniscono gli interessi del Clero con quello dei fedeli. L’aiuto a risolvere i propri problemi diventa un’esigenza reciproca, che dà tranquillità sia ai pastori d’anime sia agli stessi fedeli, che trovano nel Patronato uno strumento di difesa dei loro diritti.
Il 24 settembre 1974 il Consiglio Direttivo della F.A.C.I. delibera di dare inizio ai lavori per la costruzione della nuova casa di Montecatini, provvedendo alla copertura delle spese con il ricavato della vendita del Sanatorio di Arco e con una raccolta di denaro dal Clero.

Il 22 giugno 1976 si riapre la casa di Montecatini, con una liturgia della Parola presieduta dall’arcivescovo di Firenze, Card. Ermenegildo Florit, che benedice l’opera. Il nuovo edificio è composto da tre piani, oltre al piano terra, con un totale di 45 camere, tutte fornite di servizi igienici, moderno arredamento e telefono. Rimane, però, la vecchia costruzione in condizioni di assoluta inagibilità; è necessario un intervento sostanziale, di circa tre anni, per riattivare ed ampliare la casa, finché il 19 giugno 1979 avviene l’inaugurazione, con benedizione del vescovo di Pescia Mons. Giovanni Bianchi. Nel 1985 la F.A.C.I. trasferisce la sede romana in Largo Cardinal Galamini N° 7. Intanto per l’ennesima volta il Consiglio Permanente della C.E.I. rinnova il mandato triennale di presidente della Federazione a Mons. Tino Marchi.
Nel 1987 il Consiglio Permanente della C.E.I. affida alla F.A.C.I. la responsabilità e l’amministrazione della casa “Regina Pacis” di Acquaviva di Nerola, precedentemente gestita dalla Direzione Generale Affari di Culto del Ministero degli Interni. L’opera ospita trenta sacerdoti anziani, di cui alcuni disabili, provenienti da varie diocesi.
Il 31 marzo 1987 il Consiglio Permanente della C.E.I. approva il nuovo Statuto della F.A.C.I., che sostituisce quello precedente del 1° luglio 1955. Vengono confermate le linee essenziali tracciate dal fondatore, Mons. Orlandi, ribadendone le finalità e gli obiettivi e conservando la natura federativa tra le Associazioni diocesane del Clero.
Il 24 ottobre 1988 per un ulteriore triennio viene confermato, dalla Presidenza della C.E.I., presidente della F.A.C.I. Mons. Marchi. Nel 1988 inizia una serie di interventi di ristrutturazione nella casa “Regina Pacis” di Nerola, dalla cappella alla cucina, alla messa a norma degli impianti.
Nel 1990 il Consiglio Direttivo della F.A.C.I. delibera di ristrutturare e ampliare la casa di Marina di Massa; i lavori iniziano nel gennaio 1991 e si protraggono per un anno e mezzo. Si ottengono 80 camere servite di bagno interno, nuovo mobilio, doppio ascensore e aria condizionata. L’inaugurazione del complesso rinnovato avviene il 17 giugno 1992 con benedizione da parte dell’arcivescovo di Firenze, Card. Silvano Piovanelli. Antistante la casa, una spiaggia indipendente, a cui si accede direttamente senza dover percorrere grandi distanze, permette agli ospiti di fare vita di mare. La struttura, oltre a luogo di vacanza, è usata anche per incontri e ritiri spirituali, sia nella stagione estiva che in quella invernale.
Il 16 marzo 1998 la Presidenza della C.E.I. nomina presidente della F.A.C.I. don Luciano Benassi di Modena, affidando la vice – presidenza a Mons. Marchi.

Dal 1° giugno 2000 gli ospiti della casa “Regina Pacis” di Nerola sono trasferiti in una nuova struttura, in località Fontecchio, vicino alla città de L’Aquila. É stata una decisione difficile, ma necessaria, presa dalla Presidenza della C.E.I. La casa di Nerola, di proprietà del F.E.C., è bisognosa di ingenti lavori per un ammodernamento, mentre nel contempo crescono le richieste di ricovero di sacerdoti non autosufficienti. Non avendo il F.E.C. le risorse sufficienti per intervenire, si è deciso per la soluzione di Fontecchio, struttura completamente nuova, inaugurata nel febbraio del 2000, sotto la supervisione della clinica geriatrica del Policlinico Gemelli, a cui lo stabile appartiene. Alla F.A.C.I., che continua a seguire i sacerdoti ricoverati, è stata affidata la amministrazione e conduzione della casa, nonché la cura di tutte le pratiche necessarie per l’accoglienza di nuovi ospiti. Nel marzo 2001 il Consiglio Permanente della C.E.I. nomina un nuovo presidente della F.A.C.I., Mons. Luciano Vindrola di Susa, riconfermato nel 2004. Nel 2001 la F.A.C.I. cambia ancora la sede romana, spostandosi presso l’Istituto dei Dehoniani, in Via Leone XIII N° 459, e di nuovo nel 2005 in L.go Card. Galamini, 7.

E a Firenze…

Non è possibile comprendere la storia della FACI fiorentina se non partendo dal fenomeno straordinario rappresentato dalle Confraternite laicali e religiose, che in Italia, e soprattutto a Firenze, incisero decisamente sul tessuto secolare sociale e religioso delle città (1). Alcune di quelle fiorentine, come la Confraternita della Misericordia, sono ancora attive, la maggior parte furono soppresse nel 1785 dal Granduca Pietro Leopoldo con lo scopo principale di farne incamerare allo Stato l’ingente patrimonio, altre, come quella di S. Benedetto Bianco, si estinsero più tardi per le mutate condizioni civili e religiose della società. Qualcuna, infine, è risorta, raccogliendo le nuove sfide della evangelizzazione, come la Confraternita di S. Niccolò al Ceppo o come la Congregazione dei sacerdoti di Gesù Salvatore e che nacque proprio nella seconda metà del XVII come derivazione della confraternita laicale di S. Benedetto Bianco.

Ci sembra, quindi, doveroso a questo punto accennare all’esistenza di altre due congregazioni di sacerdoti secolari operanti a Firenze che hanno caratterizzato la vita spirituale del clero fiorentino. Sono la Congrega di Gesù Pellegrino detta Congrega Maggiore o di S. Jacopo de’ preti e i cui membri popolarmente e simpaticamente furono detti “Pretoni” e la Congregazione dei Preti dello Spirito Santo o canonici Lateranensi o di S. Basilio.

La prima era nata intorno al 1131 per dare inizialmente ospitalità ai preti della campagna che dovevano recarsi per i loro affari in città. Fra i suoi rettori conta anche il famoso Pievano Arlotto, celebre per le sue burle e sepolto nella chiesa della Congrega.

Ebbe la sua sede presso S. Gallo e dopo uno sviluppo patrimoniale di una certa consistenza cessò le sue funzioni nel 1785 per decreto granducale. Dalle sue Costituzioni apprendiamo molte indicazioni per la vita spirituale dei sacerdoti che venivano convocati per celebrazioni e “tornate” con raccolta di offerte da destinare ai bisognosi ed ai carcerati. Ma la propria funzione principale ed originale rimase quella dell’ospitalità ai preti forestieri per i quali fu fondato un ospedale attiguo alla chiesa chiamato del Santo Salvatore (19).

L’altra congregazione clericale era la Congregazione dei preti dello Spirito Santo che ebbe la sua sede nella chiesa di S. Basilio, poco distante dalla sede della Congrega di Gesù Pellegrino, in via S. Gallo. La Congregazione subentrò ai frati greci che reggevano la chiesa di S. Basilio, detta degli Armeni, alla fine del 1400. Ebbero le loro prime Costituzioni nel 1495 con l’approvazione dell’Arcivescovo fiorentino Rinaldo Orsinie dopo aver ottenuto il riconoscimento papale da Leone X Medici il 29 aprile 1513, esse furono aggiornate definitivamente nel 1528 con l’autorizzazione dell’Arcivescovo di Firenze Niccolò Ridolfi.

La Congregazione raccoglieva preti di Firenze e Fiesole con lo scopo della loro santificazione mediante la partecipazione liturgica a particolari celebrazioni e ad un’intensa attività caritativa, soprattutto, rivolta ai preti poveri ed infermi.

Da uno studio attento delle attività della Compagnia di S. Benedetto Bianco riportate in varie opere  sono facilmente rintracciabili le influenze e gli sviluppi che essa ebbe nella Congregazione di S. Salvatore, infatti Lorenzo Antinori, incamminato verso il sacerdozio dopo essere rimasto vedovo,  volle riportarvi quasi integralmente l’esigente proposta spirituale  offerta ai laici. E’ pur vero che alcune analogie sono riscontrabili anche in altre confraternite fiorentine come la Congregazione di S. Francesco della Dottrina Cristiana detta dei “Vanchetoni”, popolarmente chiamata dei “Bacchettoni”, del Beato Ippolito Galantini, che pur essendo nata in ambiente laicale trovò alcuni sviluppi anche in confraternite sacerdotali come avremo modo di sapere successivamente. Ma è innegabile, infine, presupporre che scambi e arricchimenti reciproci avvenivano continuamente tra le confraternite anche per opera dei propri membri che potevano iscriversi in più congreghe contemporaneamente.

            La Congregazione dei sacerdoti secolari di Gesù Salvatore fu istituita a Firenze, sulla scia del rinnovamento spirituale della riforma nata dal Concilio di Trento che ebbe, come in tante altre chiese locali, forti ritardi nella sua applicazione. Nella Diocesi fiorentina risultò determinante l’apporto della spiritualità di Ippolito Galantini ma, ancora prima, quella di S. Filippo Neri con l’arrivo in città dei primi sacerdoti oratoriani, i fiorentini Pietro Bini e Francesco Cerretani. Anche la predicazione dei gesuiti aveva segnato precedentemente l’arricchimento ed il rinnovamento della spiritualità cittadina con particolare beneficio del clero secolare e delle classi più abbienti. Non ultimi incisero sulla formazione umanistica i Padri Scolopi e i Padri Barnabiti con le loro scuole popolari. In tutta Italia, del resto, il fervore portato dalla cosiddetta Controriforma, sviluppò, insieme al rinnovo della vita religiosa, il nascere di nuove congregazioni e di vari sodalizi di preti.

L’approvazione delle Costituzioni da parte dell’Arcivescovo Nerli avvenne a Roma il 26 febbraio 1663 (anno fiorentino, quindi nel 1664) e fu accompagnata da un primo riconoscimento, con varie indulgenze, da parte del Papa Alessandro VII. Qualche mese dopo, esattamente il 5 aprile, in preparazione al Precetto Pasquale, la Congregazione dei sacerdoti iniziò l’assistenza spirituale agli Ospedali e “ai Poveri Mendicanti” (istituzione tutelata dal Granduca) unendo la formazione spirituale e liturgica con quella caritativa come avveniva già nella confraternita di S. Benedetto Bianco. Gli ospedali scelti dalla Congregazione erano S. Paolo dei Pellegrini, dove erano gli stranieri, il Tempio (ora Montedomini)  e S. Onofrio vicino a S. Giuseppe, tre in via S. Gallo (Facchini, Manescalchi, S. Rocco), La buca di S. Piero Gattolini o del Piccione in via romana, uno in via del Sole, ed, infine, SS. Pietro e Paolo vicino a S. Pier Maggiore.

Oltre alle “tornate”, che avvenivano in S. Salvatore, nei giorni festivi i chierici si incontravano con i sacerdoti della Congregazione nelle “conferenze” che si tenevano presso le abitazioni dei confratelli o in  luoghi concessi da famiglie fiorentine o in conventi. In un primo periodo, tuttavia, la Congregazione continuò a mantenere i rapporti con la Confraternita di S. Benedetto partecipando ai diversi momenti comuni, come la celebrazione della S. Messa e la S. Comunione settimanale così come ad alcune “tornate” di particolare rilievo.

 

altre congregazioni del clero secolare

Abbiamo già accennato che accanto  alle confraternite laicali nacquero o derivarono da esse numerose congregazioni o sodalizi clericali, sia a livello regionale che nazionale. Ciò fu dovuto particolarmente ad una scelta del Papa, il Beato Innocenzo XI, che approvò e sostenne molto queste espressioni religiose legate alla formazione del clero. Gli storici sono concordi nel parlare di una vera e propria “svolta innocenziana” in tale senso per dare consistenza al Tridentino. Sta di fatto che nel  suo pontificato furono innumerevoli le congregazioni approvate o raggiunte da privilegi e riconoscimenti.

Per uno studio approfondito della materia è sufficiente scorrere l’opera di Louis Chatellier “L’Europa dei devoti”, che, con un prezioso lavoro di ricerca, arriva a censire numerose congregazioni laicali e clericali che condizionarono ed arricchirono la cultura religiosa del popolo di Dio in Europa .

Purtroppo in Italia non esistono studi specifici su queste realtà che si affiancarono al processo di rinnovamento degli antichi ordini religiosi e dei nuovi come la Compagnia di Gesù, i Somaschi, i Teatini, i Barnabiti, gli Scolopi. Tuttavia è interessante rilevare che il clero secolare si sentì coinvolto e partecipò al rinnovamento spirituale in atto nella Chiesa dando vita a nuove forme di aggregazione per i preti diocesani come gli Oratoriani, gli Oblati di S. Ambrogio, i Bartolomiti del beato Holshauser, i Chierici della Madre di Dio, del lucchese S. Giovanni Leonardi, ed altre, che solo successivamente diventarono ordini religiosi pur essendo nate da movimenti spirituali del clero diocesano, come i Lazzaristi di S. Vincenzo de’ Paoli, gli Eudisti, i Sulpiziani, i Pii Operai del venerabile Carafa, gli Ospedalieri o fatebenefratelli, i Camilliani e molti altri. Accomunava tutti questi, insieme a numerose, ed oggi scomparse, congregazioni di preti secolari presenti in  molte grandi diocesi, il vivo desiderio di dedicarsi alla formazione ed all’aggiornamento del clero, allo sviluppo di un’intensa vita spirituale ed ascetica, ma anche al servizio delle comunità parrocchiali partendo da un’attenzione formativa privilegiata verso gli stessi parroci. Infine, in questi movimenti clericali erano costanti le iniziative mirate all’evangelizzazione, alla catechesi, alla liturgia ma anche alle opere di carità per il sostegno e l’educazione della gioventù più povera sulla stessa scia delle Congregazioni laicali che in questo senso avevano fatto da apripista.

Anche la Toscana annoverava un tale movimento, pur non esistendo per Firenze un lavoro di ricerca approfondito al riguardo, possiamo attingere all’opera del senese Maurizio Sangalli che, delineando il percorso formativo del clero in Siena, dalla fine del ‘500 fino al ‘700, presenta elementi riconducibili a quelli intrapresi dalla realtà ecclesiale fiorentina con delle coincidenze davvero sorprendenti segno di una conoscenza reciproca.

Già la testimonianza su Gherardo Gherardi, immediato successore dell’Antinori e che riporteremo tra breve, ci informa che in Italia erano presenti molte congregazioni di preti secolari. Proprio lui, infatti, desiderava conoscerne una di queste operante a Napoli. Si tratta con molta probabilità della Congrega dei Presbiteri missionari dell’Assunta fondata dal gesuita Francesco Pavone chiamata volgarmente “della Conferenza” dalla quale uscì il Venerabile Mariano Arciero che nella seconda metà del ‘600 contava più di cinquecento iscritti. Ma solo a Napoli in quel periodo esistevano altre congreghe sacerdotali, quelle ancora in vita oggi sono la Congrega di San Carlo Borromeo, l’Immacolata dei 63 sacerdoti, il ramo clericale della Congrega dei Bianchi (molto simile a quella di S. Benedetto bianco a Firenze) e la Congrega del SS. Crocifisso (17). Anche la Toscana, tuttavia, fu patria di molteplici congregazioni e sodalizi di preti diocesani. Dal Sangalli veniamo a sapere, infatti, del tentativo da parte delle varie scuole intorno alle Cattedrali e alle maggiori basiliche di federarsi per concorrere alla formazione, non solo dei chierici ma soprattutto del clero più giovane, affidandosi ad un clero maggiormente preparato nell’ascetica e nella formazione spirituale.

Emblematico il caso della Congregazione dei Sacri Chiodi, anch’essa conosciuta e frequentata dal Gherardi, quando ancora era chierico a Siena. Questa Congregazione può considerarsi quasi gemella di quella fiorentina, era nata in ambito gesuita da una congregazione laicale che portava lo stesso nome. Siccome molti di questi giovani era diventati, nel tempo, sacerdoti, avevano costituito un gruppo a parte per la loro formazione spirituale sotto la guida di un laico, Matteo Guerra, che, dopo diverse pressioni da parte dell’Arcivescovo senese Francesco Maria Tarugi, diventò nel 1594 sacerdote gesuita, continuando così la sua opera al servizio del gruppo. Questa congregazione supplì, come quella di Firenze, alla formazione anche dei chierici in vista del sacerdozio pur essendo nato nel 1615 il seminario diocesano senese.

Qualche decennio dopo, nel 1666, il  seminario di Siena rischiò di chiudere per la sua decadenza spirituale e culturale, così l’Arcivescovo Ascanio II Piccolomini, decise di unirlo con quello della Congregazione affidandole la gestione. Purtroppo la Congregazione, seguendo i decreti tridentini e le direttive arcivescovili, perse a poco a poco la propria autonomia e la propria originalità fondendosi col seminario e cessando di esistere, cosicché, nel 1671, tutti i propri beni passarono alla Diocesi. La Congregazione  fu successivamente riformata dal nuovo vescovo senese Celio Piccolomini che, per indennizzarla dei beni perduti, le dette nuove mansioni con qualche privilegio. In quella occasione la parte clericale fu divisa da quella laicale ed ottenne un altro statuto con un nuovo titolo: Congregazione di S. Pietro Apostolo.

La Congregazione sviluppò, inoltre, un’intensa attività a favore delle parrocchie conducendo, a ritmo ininterrotto e con metodo assai rigido, le “missioni al popolo”.

Altro fronte di azione pastorale fu l’assistenza spirituale e l’istruzione catechistica dei malati negli ospedali e dei carcerati nelle prigioni cittadine delle Stinche – oltre ai detenuti comuni vi si trovavano anche i malati di mente – e del Bargello, infine procurò aiuto materiale e religioso ai “Poveri Mendicanti”.  A tale riguardo fu istituito un vero e proprio sistema di finanziamento mediante la gestione dei proventi delle missioni e dei lasciti che cominciarono a giungere copiosi da più parti. Alcune eredità servirono ad aiutare diverse famiglie fiorentine indebitate ma anche per costituire un fondo per lo sviluppo della Congregazione stessa. I confratelli sacerdoti assolsero, infine, al pietoso esercizio di accompagnare i condannati a morte al patibolo. Nel secolo XIX la Congregazione si impegnò anche nell’insegnamento del catechismo presso scuole e conservatori tenuti da religiosi e religiose.

La vita e le attività della Congregazione di Gesù Salvatore si svolsero puntualmente come adempimento delle Costituzioni, preparate da una deputazione di sacerdoti e poi approvate dai confratelli e sempre sottoscritte dall’Arcivescovo Francesco Nerli senior – creato cardinale nel 1669 – il quale volle essere ammesso tra i fratelli. Su questo argomento conviene riportare questa testimonianza: “Nelle relazioni presentate alle Congregazioni Romane per le visite ad limina, egli ne parlava con molto favore affermando che in mancanza del Seminario i chierici dell’Arcidiocesi trovavano nella Congregazione di S. Salvatore un valido mezzo per la formazione ecclesiastica e a crescere nella virtù” .

Le adunanze, svolgendosi in Arcivescovado, crearono, tuttavia delle difficoltà al punto che si rese necessaria una casa più comoda anche per dare gli esercizi spirituali per i confratelli congregati secondo il metodo di Sant’Ignazio. Già in quegli anni, infatti, si registrò l’esigenza di reperire un ambiente che avesse i requisiti adatti alle nuove attività in costante aumento della Congregazione. Intanto era necessario un luogo per la formazione del clero per le missioni cittadine e in campagna, con la possibilità anche di ospitare il clero non cittadino. Nacque quasi immediatamente il progetto di ospitare anche i chierici della scuole di spirito o quelli di campagna che dovevano frequentare le lezioni di teologia o di filosofia che la Congregazione aveva cominciato ad organizzare. Era necessario anche reperire un luogo un po’ discosto dalla città per ritiri e soprattutto per gli esercizi spirituali al clero, infine, nacque il bisogno di uno spazio attrezzato per le prove di canto e di musica per le frequenti celebrazioni liturgiche.

L’opera di Gherardo Gherardi, grazie alla collaborazione del Mescoli, dette vita nel 1671 ad una scuola di filosofia e di musica in una casa posta in cantonata tra via S. Michele delle Trombe, oggi S. Elisabetta, e via delle Oche e presa in affitto dal proprietario Cosimo Pasquali. Alla pigione, di 45 scudi annui, provvide lo stesso Gherardi, anche dopo la sua nomina a vescovo di Pistoia e Prato, mentre per gli stipendi agli insegnanti provvide Alessandro Strozzi, per un breve periodo superiore della Congregazione,  e poi Vescovo di Volterra e, dopo poco, di Arezzo.

In questa casa, dove “leggeva” filosofia il celebre dottor Federigo Giannetti,  ritenuto uno più grandi intellettuali del suo tempo, convenivano non solo i chierici del Duomo e quelli di S. Salvatore, ma anche quelli di tutta l’Arcidiocesi e successivamente delle Diocesi vicine. E qui si ebbe, anche il primo nucleo di chierici radunati a vita comune sotto la direzione del  canonico Mescoli che fu il primo rettore della casa, insieme ad un altro confratello che fungeva da prefetto.

Sul “Seminario del Mescoli”, in un documento del 1680 inviato al Beato Niccolò Stenone si legge: “i Chierici della campagna si tengono a convitto a foggia di seminario ma se ne aumentano anco di quelli della città ed altri secondo che pare più conveniente e a questi si fanno le scuole spirituali da sé nella casa dove convivono e si tengono con ogni vigilanza ben custoditi” . La scuola dei convittori aveva le seguenti discipline: grammatica, retorica, filosofia, teologia scolastica, morale, diritto canonico, lingua greca e latina, musica, suono e canto fermo. In   quell’anno nacque anche il Seminario de “ La Calza” sotto la direzione della suddetta Congregazione.

Un’altra aggregazione clericale nacque nel periodo successivo ai moti rivoluzionari del 1848., Essa ebbe un proprio statuto inizialmente approvato dall’Arcivescovo Mons. Ferdinando Minucci, ma per la complessità della situazione politica successivamente abbracciò scopi sempre più politici ed ostili alla gerarchia episcopale tant’è che nel 1857 il nuovo Arcivescovo Gioacchino Limberti, dopo alcuni tentativi di riconciliazione si vide costretto a promulgarne l’estinzione.

Alcuni tentativi di associazionismo emersero anche nella seconda metà dell’XIX secolo con la formulazione di alcuni bollettini e riviste per il clero fiorentino a carattere teologico e filosofico e di aggiornamento culturale, sia sotto il governo episcopale del vescovo Eugenio Cecconi che nel suo successore il cardinale Agostino Bausa.

Si deve giungere all’episcopato del cardinale Mistrangelo per vedere nascere l’Associazione di previdenza tra i sacerdoti delle toscana.

Le sue prime attenzioni verso il clero, al suo arrivo a Firenze,  con alcune forti decisioni iniziali, posero le premesse per una formazione innovativa, indirizzata a ricompattare il presbiterio. Il primo segnale fu per il clero anziano.

Appena giunto a Firenze venne a sapere da un medico volontario dell’Arciconfraternita della Misericordia che due anziani sacerdoti versavano in gravissime condizioni economiche e di salute. Dopo averli visitati, radunò in assemblea il clero della città e i rappresentanti dei pivieri ed espose il desiderio di fondare un’associazione clericale che si occupasse del clero anziano povero e malato mediante specifici sussidi ed anche con l’istituzione di un ricovero adatto a loro. Ritenne non più adatta la piccola casa che esisteva per loro in via ponte dell’asse, in zona del rione di san Jacopino, a Firenze e diretta, con tanti sacrifici personali, dal canonico della collegiata di san Frediano Allegro Pazzi. Con Carlo Soldi, vera anima del progetto iniziale, si provvide all’istituzione dell’Associazione di carità dei sacerdoti dell’arcidiocesi di Firenze. Insieme al clero si pensò che l’associazione avesse autonomia giuridica e patrimoniale, l’arcivescovo sarebbe stato un semplice socio, disse: “Ma io mi iscriverò per primo”.

L’approvazione dello statuto avvenne in san Salvatore, in arcivescovado il 20 giugno 1902 ma Mistrangelo spinse per il riconoscimento giuridico che avvenne l’anno successivo. Con una novità non di poco conto: l’ente non sarebbe stato dipendente dal Ministero degli interni, come gli altri entri ecclesiastici, ma dal Ministero del Lavoro come ente sindacale del clero. Un altro aspetto innovatore dell’arcivescovo è che pur conservando per sé la presidenza dell’associazione ne lasciò la rappresentanza giuridica al direttore. Fu un gesto di grande fiducia nel suo clero. Un altro segnale arrivò da Giuseppe Nencioni, anziano sacerdote fiorentino, cappellano del Duomo, che lasciò 43.000 lire, frutto di un’eredità di famiglia, per l’acquisto di una nuova dimora per i sacerdoti anziani. L’arcivescovo prese contatto con la proprietaria di una villa nel viale Machiavelli, la nobildonna Maria Morelli Adimari, nei conti Barbolani di Montauto, e la convinse alla vendita. Siccome in quell’immobile erano ospitati da qualche tempo gli orfani dei figli dei marinai, l’arcivescovo provvide a trovar loro un altro luogo idoneo.

 L’atto di compravendita è del 14 marzo 1902, subito dopo, il presule fiorentino, fece un atto di donazione all’associazione. Il 27 dicembre dello stesso anno giungevano al nuovo convitto ecclesiastico i primi sacerdoti, accolti dalle suore Figlie di nostra Signora della Misericordia di Savona, arrivate pochi giorni prima, e dal nuovo direttore Geremia Cappelli, già stimato professore al Cestello e alla Calza[i].

Contestualmente all’attenzione verso il clero anziano, Mistrangelo operò perché i sacerdoti diocesani avessero tutti un servizio ministeriale, questo per scoraggiare il fenomeno dei cosiddetti “preti scagnozzi” che vivevano alla giornata cercando di celebrare qualche Messa di suffragio e che stazionavano quotidianamente intorno alla cattedrale.

[i] P. Biasi (a cura di), Centesimo anniversario, associazione di previdenza fra i sacerdoti della toscana, e convitto ecclesiastico, Firenze, 2003 pag.. 7-8

L’attività della FACI fiorentina si colloca inizialmente  sulla scia della Associazione di previdenza fra i sacerdoti della toscana fornendo anche sussidi economici e piccoli prestiti per i sacerdoti in difficoltà finanziarie. Lo sforzo maggiore del Cardinale Mistrangelo si rivolse particolarmente nella formazione permanente del clero.  Egli volle radunare i sacerdoti fiorentini nell’”Unione del clero per la cultura e l’azione religiosa sociale nell’arcidiocesi di Firenze”, con sede nel centro di Firenze. Direttore fu Alfredo Corti, parroco di santa Maria a Soffiano, presidente Isidoro Fanelli all’epoca parroco della contigua parrocchia di san Gaetano e che diede i locali idonei all’iniziativa, in via dei Pescioni, nel centro storico.

Tale organo ebbe l’atto formale di fondazione nel 1909, ma operava già dai primi del secolo sotto l’attenta regia dell’arcivescovo e raccoglieva i migliori sacerdoti della diocesi, in particolare i più giovani. Il “circolo” offriva consulenze di vario tipo, con una fornitissima sala di lettura, una sezione per le proiezioni di diapositive di carattere sacro per le parrocchie e che poi andò a costituire l’Opera diocesana proiezioni. Istituì per il clero corsi gratuiti di francese e di tedesco. Promosse nel tempo numerosi incontri con importanti esponenti, laici ed ecclesiastici, della cultura, dell’economia, della politica del tempo. Interessanti al riguardo le relazioni che venivano trascritte ed inviate in una rivista mensile a tutti i soci. Gli stessi soci erano anche iscritti all’Associazione di previdenza dei sacerdoti della Toscana, diretta dal professore Geremia Cappelli, e, contestualmente alla Cassa del clero la cui crisi, qualche anno dopo, coinvolse, purtroppo, il circolo.  Infatti nel 1911 rallentò notevolmente le proprie attività e la rivista mensile fu assorbita dalla curia arcivescovile che la trasformò nel “Bollettino diocesano”. Negli intendimenti iniziali, Mistrangelo, che partecipava a tutti gli incontri promossi in quel periodo, desiderava che il Circolo dell’unione si facesse promotore presso le parrocchie dell’Unione popolare che si era costituita a Firenze nel 1906 e che l’arcivescovo non mancava mai di raccomandare ai parroci, definendola, nella lettera pastorale del 1908: “opera di vitale importanza religiosa e civile…che deve tenere fronte ai pericoli che minacciano la nostra cara patria[i].

Non mancarono in quegli anni studi sociologici appropriati, promossi sempre dal Circolo dell’unione del clero, per approfondire le ragioni della scristianizzazione partendo dall’esperienza diretta dei parroci ed indicando di volta in volta eventuali rimedi e proposte. Qualche anno dopo nacque la FACI anche a Firenze. Convinto animatore ne fu il suo primo presidente Mons. Arturo Bonardi. L’attività fu rivolta alle pratiche per le “congrue” del clero e il fondo pensionistico per il clero. Successivamente nacque anche il patronato FACI sotto la presidenza di Mons. Armando Casini. In quegli anni iniziò la revisione del Concordato che dette nuovo slancio alla FACI fiorentina, sotto la presidenza di Mons. Adorno Casini. Alla sua morte subentrò don Francesco Saverio Bazzoffi. E poi, qualche anno, dopo Mons. Alberto Alberti.